lunedì 1 luglio 2013

Essere intellettuale



« I nomi dati alle cose terrestri racchiudono una grande illusione: infatti distolgono il cuore da ciò che è consistente, per volgerlo a ciò che non è consistente. [..] Ma la verità addusse nel mondo dei nomi, poiché è impossibile insegnarla senza nomi. »

(Filippo, cod. II 53,25; 54,15)

Che cosa significa essere un intellettuale? Intel-ligere, “leggere dentro”: ma dentro che cosa? Dentro le cose, le cose che si incontrano: perché l’essenziale è visibile agli occhi, agli occhi che sanno guardare le cose per quello che sono. Essere un intellettuale significa quindi, anzitutto, avere dedizione per gli incontri affinché questi diventino esperienze, ossia eventi significativi. In seconda battuta, essere un intellettuale significa sapere rendere accessibili agli altri le proprie esperienze, ossia sapere raccordare le esperienze con i contesti culturali dei propri interlocutori.
I mezzi espressivi dell’intellettuale sono molteplici e vanno dall’arte alla musica, dal cinema alla parola: arte e musica e cinema e parola possono essere però accostati in diverse maniere, in modo didascalico od in modo allusivo, per esempio. Il modo didascalico è quello funzionale, tipico della mentalità razionalista occidentale come oggi la conosciamo: esso appiattisce le cose ad una sola delle loro dimensioni sperimentabili, per cui una casa è soltanto un riparo più o meno tecnologico per l’essere umano ed un cane è soltanto un mammifero, ad esempio; l’intellettuale che si approccia così alla realtà, è il tipico individuo che considera il pensiero come un oggetto a sé stante e non come l’attività di una persona che incontra la realtà con tutta se stessa. Se il pensiero è però qualcosa che prescinde dall’integrità della persona che pensa, allora il principio di non contraddizione diventa quella gabbia per cui se una casa è il riparo fisico di un essere umano, allora non può essere una madre che ti abbraccia.
Arte e musica e cinema e parola, però possono essere approcciate anche in modo allusivo, in modo cioè da conservare la consapevolezza del fatto che, mentre di qualcosa mostrano palesemente un aspetto, non di meno ne conservano implicitamente tutti gli altri di cui quella stessa cosa vive ed in cui trova consistenza; l’intellettuale che si approccia così alla realtà, è colui che vive, incontra e giudica da uomo, ossia come qualcuno che ha occhi sul viso ma non sulla schiena e che sa, pertanto, di non potere risolvere tutte quanta la realtà in ciò che ne coglie o nei singoli aspetti di essa su cui, di volta in volta, pone il fuoco della sua attenzione. Allora il principio di non contraddizione si dilata, per diventare consapevolezza del fatto che, se una cosa esiste, esiste in un modo e non in un altro, ma questo modo è talmente ricco da non essere circoscrivibile da alcuna pretesa espressiva univocista ed unilaterale. Allusivamente intesa, una casa ed una madre non sono quindi oggetti inconciliabili fra loro, ma realtà che si illuminano e si sostanziano a vicenda, in un’esperienza autentica delle cose: l’espressione allusiva è il linguaggio veritiero della poesia e del simbolo.
L’intellettuale compiuto usa entrambi questi registri di approccio alla realtà, ma usa il primo all’interno del secondo. Dovendo distinguere e dovendosi anche esprimere, per non confondersi con il puro uomo saggio, un intellettuale compiuto usa espressioni didascaliche per “cavare pietre” dal trascorso esperienziale e culturale umano e quello allusivo per edificare la civiltà; quello allusivo per mantenere desto tutto il senso della meraviglia verso l’esperienza e quello didascalico per non confondere tutta l’intensità indescrivibile del reale, con una sua presunta insensatezza.

BIBLIOGRAFIA di riferimento:

GALIMBERTI U., La terra senza il male, Feltrinelli, Milano 2009;
GIUSSANI L., Il senso religioso, Rizzoli, Milano 1997.
GRAVES R., La dea bianca, Adelphi, Milano 2009;
MORALDI L. (a cura di), I Vangeli gnostici,  Adelphi, Milano 2007;
PASOLINI P. P., Scritti corsari, Garzanti, Milano 2007;
WITTGENSTEIN L., Zettel. Lo spazio segregato della psicologia, Einaudi, Torino 2007.

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