sabato 30 luglio 2016

6/2. Antropologia e gerarchia simboliche nella Chiesa Cattolica


Una delle accuse più frequenti, rivolte da ambienti pseudo-esoterici (se non smacca-tamente new-age) alla Chiesa Cattolica, è quella di avere ridotto l’uomo tripartito tradizionale, per così dire “composto” di corpo, di anima e di spirito, in un uomo “duale” e titolare solamente di un corpo e di un’anima, avendo essa così meritato le dure parole evangeliche che recitano: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che chiudete il regno dei cieli davanti alla gente; di fatto non entrate voi, e non lasciate entrare nemmeno quelli che vogliono entrare» (Mt XXIII, 13). Si invita a non confondere la forma con la sostanza. Come in ogni simbolo, anche qui la forma e la sostanza sono in rapporto analogico fra loro: certamente una forma diversa determina una possibilità applicativa diversa della sostanza e ciò non di meno, le due cose non vanno confuse.

Si è suggerita, nel precedente articolo (6), la relazione analogica vigente tra i tre livelli di profondità del Tempio (basilica superiore; basilica inferiore; cripta), le tre categorie umane della gnosi (ilici; psichici; pneumatici) ed i tre piani della realtà (materiale; sociale; ontologico): a questo riguardo, per comprendere il nesso fra queste nozioni e l’oggetto ora in esame, andrebbero anzitutto richiamate alla mente alcune tesi antropologiche e politiche, di matrice pitagorica, che Platone illustra soprattutto nel Fedro e nel La repubblica. Platone descrive l’uomo unitario come “composto” di un corpo materiale e di un’anima vitale; l’anima umana, a sua volta, sarebbe tripartita in anima concupiscente (appetiti istintuali), anima irascibile (emozioni) ed anima razionale (intelligenza): si delinea, in questi primi dati, la tradizionale (cfr. col primo articolo) progressione 1 > 2 > 3, che spiega come l’Unità del reale, comprensibile solo dualisticamente, trovi significazione nella sua relazione con “terzi” (la coscienza che osserva). La coscienza umana tripartita - 3 -, che si relaziona all’unità del reale - 1 -, “quadra il cerchio” - 1+3=4 - dell’Essere.

La repubblica, nel tradurre politicamente l’antropologia platonica, istituisce una costruzione gerarchica della società. L’unica società - 1 -, i cui appartenenti possono risultare temperanti od intemperanti - 2 - a seconda del grado d’educazione, appare strutturata in modo che, dal livello più numeroso e più semplice costituito dal corpo lavoratore, evolva prima in quello già più ristretto e più nobile dei guerrieri, preposto ad animare la difesa dell’ordine, fino a quello dei politici, elitari custodi dello spirito della polis - 3 -. E’ ora possibile procedere a descrivere l’antropologia/sociologia ecclesiastica cattolico-romana, sottolineando la perfetta identità della sua struttura con quella platonica. L’unico Corpus Christi che è la Chiesa - 1 - è composto di uomini i quali, tutti, dispongono di un corpo e di un’anima - 2 -, la quale anima è a sua volta soggetta alla concupiscenza dei sensi (istinti) ed alle passioni (emozioni), ma è anche dotata della ragione - 3 - che fa l’uomo ad immagine e somiglianza del Padre; l’uomo pio che orienta i suoi sensi, la sua fede e la sua intelligenza all’unico Dio - 3+1 -, è colui che perviene in sé alla comunione fra creato e Creatore - 4 -. Sul piano dell’organizzazione sociale, la Chiesa appare così “tripartita”: alla base sta il popolo laico (anima concupiscente, casta produttiva), il quale vive la propria religiosità nei termini di un rapporto bisogno-consolazione. Nel simbolo architettonico della Basilica di San Francesco in Assisi, l’ambiente destinato al popolo è la basilica superiore, riccamente affrescata per fornire stupore agli occhi e consolazione didascalica alle paure. Il secondo livello della società ecclesiastica cattolico-romana è costituita dai religiosi (anima irascibile, casta difensiva), coloro che si sentono eticamente coinvolti nell’esercizio eroico delle virtù evangeliche di povertà, castità ed obbedienza: nel simbolismo architettonico, il loro spazio è quello già più stretto, più riservato e più profondo della basilica inferiore. Il vertice della piramide sociale è costituita dagli “iniziati” all’Ordine Sacro (anima razionale, casta dirigente), coloro che si dicono “pastori” e che riservano al loro esclusivo consumo lo spirito, ossia la Comunione nella specie del vino.

Si rilascia, infine, un appunto a riguardo della presunta misoginia della struttura romano-cattolica. Nelle società tradizionali, che tutte prevedono una concezione intrinsecamente relazionale della realtà, articolata nell’unità dell’Essere con il dualismo percettivo, il carattere maschile e femminile dei generi viene SEMPRE gestito simbolicamente. Nel Cattolicesimo, che di certo è una forma tradizionale di civiltà, il maschile rappresenta ora Dio, ora la natura divina del Cristo, ora il Cristo stesso nel suo ruolo di maestro/pastore ed ora lo Sposo; il femminile rappresenta ora la Chiesa, ora la natura umana di Gesù, ora Gesù stesso nel suo ruolo di Figlio obbediente ed ora la Sposa: sia la gestione del sacramento del matrimonio nella Chiesa, che la gestione delle ammissioni soltanto maschili all’Ordine Sacro, vanno pertanto intesi come “muta pedagogia” tradizionale del rapporto fra la vita materiale dei credenti ed il mistero della redenzione. Gli antichi testi mostrano come anche il diaconato risultasse accessibile anche al genere femminile: questo non deve stupire. Il diaconato, in quanto “terzo gradino più basso” dell’Ordine Sacro, sta a quest’ultimo come il corpo materiale sta all’intera persona; il diaconato, in quanto antico ruolo di servizio caritativo, si presta ad essere incarnato simbolicamente sia da un uomo che da una donna, poiché sia il padre che la madre, in una famiglia cristiana, sono chiamati alla sollecitudine per le esigenze materiali dei figli.

domenica 24 luglio 2016

6. Un due tre stella



Come in un passo tripartito di valzer (partenza davanti a sé col piede destro, movimento diagonale del piede sinistro e ricongiungimento ortogonale laterale del piede destro), cui segue la pausa che precede il rinnovo del ciclo, così anche il procedere nella lettura simbolica avviene con una stratificazione successiva di comprensioni (valore narrativo, valore etico, valore anagogico), intervallate fra loro da una revisione del quadro generale (quale senso?) e composta ciascuna dai tre momenti del pensare (quale immagine?), dell’agire (quali analogie?) e del cogliere (quale contesto?). Si è già mostrato, negli articoli precedenti (1; 2; 3; 4; 5), come la coscienza necessiti di articolarsi attraverso i tre parametri dell’energia, del tempo e dello spazio, per trovare il senso in cui rispecchiare ed insieme plasmare, per così dire, se stessa: come l’alto ed il basso sono poli di uno stesso parametro energetico; come il prima ed il dopo sono poli di uno stesso parametro temporale; come l’io e l’altro sono poli di uno stesso parametro spaziale; come energia e tempo e spazio sono tre parametri d’uno stesso percepire, così anche il pensare, l’agire ed il cogliere, in direzione di un senso unificante, sono intesi nel simbolismo come “momenti” di uno stesso evento che è l’Essere.


Il simbolo volgarmente chiamato PAX (e l’omega?) o bene che vada CHI RHO (e le due lettere laterali?) si pone come una sintesi perfetta di quanto appena ricordato. Il suo nome è ἄρχω, ovvero “principio”, inteso sia in termini cronologici (sul piano epistemologico) che ontologici (sul piano cosmologico). Solo per indicare i dati utili a questa sede, ecco che il rapporto fra il cerchio ed i simboli interni ricorda la relazione fra realtà eterna ed esperienza storica ed in ciò, allo stesso tempo fra realtà esterne e percezione soggettiva; il rapporto fra le due lettere laterali ed il chi rho centrale ricorda la procedura con cui si realizza storicamente l’esperienza (vedi sopra); il rapporto fra la croce solida e l’ansa ricorda l’esigenza di tornare a se stessi a conclusione d’ogni fase conoscitiva. Il ruolo della coscienza, nella reciprocità che la lega al mondo, si delinea nella necessità di conoscere se stessa per conoscere il resto (se la realtà è colta col filtro di ciò che siamo, solo sapendo ciò che siamo possiamo interpretare e quindi conoscere davvero ciò che sperimentiamo); di conoscere il resto per avere chiara se stessa; di conoscere, per essere; di essere, perché è nel suo esistere che esiste il mondo. Emerge un contesto nel quale, per la coscienza, conoscere la realtà esterna è in realtà un addentrarsi nel fitto labirinto di se stessa; emerge un contesto nel quale, per la coscienza, ascendere alle realtà superne è in realtà uno scendere nelle profondità che reggono l’apparire.


Ciò ch’è valido per l’esperienza tout court appare, in ottica simbolica, ovviamente valido per ogni tipo di esperienza, da quella appunto di sé, a quelle antropologica, religiosa (vedi articolo precedente), affettiva, educativa: il principio “marcia” sempre a passo di valzer, da due piedi uniti che si separano e si riunificano in tre tempi avendo però, nel frattempo, compiuto un tragitto. Sul piano antropologico i passaggi del pensare, agire e cogliere, vanno a delineare nel pensiero gnostico delle corrispettive categorie di umanità: sono detti pneumatici (cripta) coloro che sono guidati dalla ricerca di senso e vivono nella relazione fra essere e apparire, per cui affrontano l’esperienza procedendo correttamente per tutti e tre i momenti del formulare un progetto, porlo in attuazione, raccoglierne gli effetti e quindi cominciare un nuovo ciclo previa revisione; sono detti psichici (basilica inferiore) coloro che sono guidati dalla ricerca etica e vivono nella frattura fra bene e male, per cui affrontano l’esperienza procedendo non dal primo, ma direttamente dal secondo passaggio, quello dell’azione considerata giusta, che verrà valutata e quindi ricalibrata in relazione agli effetti approvati o rifiutati che avrà sortito; sono detti ilici (basilica superiore) coloro che sono guidati dalla ricerca pulsionale e vivono nella paura del bisogno, per cui affrontano l’esperienza procedendo direttamente dall’ultimo passaggio, dal tentativo di soddisfazione a prescindere da tutto, valutando l’esperienza in stretta relazione a quanto la manovra di accaparramento sia risultata efficace.


Lo schema tripartito che si sta esponendo, nel contesto di un’antropologia esoterica, non solo viene impiegato (secondo il suddetto modello gnostico) per identificare macro-gruppi di umanità, bensì per illustrare l’uomo nella sua struttura unitaria e relazionale, ad intra e ad extra. La triquetra celtica illustra in modo efficace l’interazione sull’uomo di infinito (cerchio) e finito (petali); materialità (quadrati) e spirito (triangoli); introversione ed estroversione. I tre petali del corpo (sensorialità), della mente (intelletto) e dell'anima (emotività) s’intersecano fra loro nel cuore (intuizione) e sono intersecati insieme dallo Spirito (cerchio), che costituisce anche il limite rispetto al quale le facoltà umane possono esercitarsi. Solo nella parte esterna al cerchio, i tre petali ed il centro hanno un rapporto analogico di somiglianza che supera la stretta interdipendenza “meccanica” costituita dal loro involontario sovrapporsi: ciò nonostante, il cerchio stesso separa e mette in relazione le aree ad esso esterna ed interna, costituendo tra esse una contiguità che è parte integrante del simbolo. La frattura umana, nell’ottica della triquetra, sta nella rimozione di una delle sue parti: una vita spesa nel tempo è per forza spesa anche nello spazio ed appare quindi naturale che ora il soggetto si trovi sbilanciato verso una parte del simbolo, piuttosto che un’altra; come un moto di pendolo, è l’oscillazione fra i due poli a dettare nel tempo la determinazione del centro. Il moto della coscienza, come quello del valzer, consiste nel percorrere tutta la “sala” a passi di tre+1, per ritrovarsi infine alla posizione di partenza, ma avendo con+diviso con l’alterità l'esperienza del ballo.

venerdì 15 luglio 2016

5. La Grande Opera

Il valore simbolico delle cose, presente per analogia di senso in ogni cosa, è un po’ come un’anima dentro un corpo materiale: è come, cioè, ciò che vivifica nella coscienza, grazie ad un senso, la materia inerte. La coscienza, nell’atto d’incontrare le cose, non solo le divide necessariamente nei parametri spaziali del qui e del lì, in quelli temporali del prima, del dopo ed in quelli energetici dell’alto e del basso: la coscienza non è tale se non sintetizza il qui, il lì, il prima, il dopo, l’alto ed il basso, in un significato di cui essa divenga, appunto, cosciente. E’ la coscienza ad attribuire il significato alla realtà, una volta assunti i dati da essa od è piuttosto la realtà, ad insegnare alla coscienza il suo significato? Se si è capito quanto affermato negli articoli precedenti (1; 2; 3; 4), si può comprendere che i due fenomeni suddetti avvengano contemporaneamente: la realtà ed il suo significato sono di per sé oggettivi ed eterni (così come oggettivo, eterno e privo di alternative è l’Essere che sostiene ogni cosa) ed in quanto tali si offrono alla coscienza: allo stesso tempo la coscienza, che sostiene le cose con la propria attenzione, colloca di volta in volta in esse quel senso che è il riflesso di sé; ad ogni evoluzione di senso che la coscienza riconosce alle cose, si produce attorno ad essa una realtà effettivamente nuova. Coscienza e realtà sono legate nell’Essere e quindi nel senso delle cose.


Se la realtà e la coscienza si sostengono a vicenda, la coscienza dell’Essere e l’essere della Coscienza costituiscono il senso delle cose: quel senso verso il quale in particolar modo l’alchimia tentò di guidare i suoi praticanti tramite simboli come quelli del Rosarium Philosophorum. La storia evolutiva di una coscienza umana è la storia dell’espansione del senso che essa immette nel mondo e da cui essa, allo stesso tempo, è forgiata: tale storia è alimentata dal rapporto tra la coscienza divina e la coscienza umana (i serpenti); dal dualismo (sole e luna) con cui si esprimono i tre assi (la fonte tripartita) percettivi del tempo, dello spazio e dell’energia (stelle a sei punte) con cui si mostra all’uomo la apparenza (fumo) materiale (i quattro angoli) del cosmo (l’intera immagine); dall’unità dell’Essere (la vasca circolare) e dal divario di mistero (acqua) che separa la comprensione umana (quadrato) dall’unica verità (cerchio) che accomuna tutto l'esistente.


Nelle condizioni di cui sopra, l’uomo stesso si ritrova inconsapevolmente dualizzato: nel momento stesso in cui ognuno prende coscienza di sé, egli divide se stesso tra colui che guarda e colui che è osservato; nel momento stesso in cui ognuno prende coscienza di sé, egli divide il se stesso osservato tra ciò ch’è visibile (l’io) e ciò che ancora non è visibile (l’inconscio). E’ necessario un evento illuminante (colomba) perché l’uomo acquisisca (nudità) una nozione duale di sé, sappia distinguere (separazione delle mani) la volontà (l’io) dalle pulsioni (l’inconscio) e sappia mettere l’una e le altre reciprocamente agli antipodi, uscendo dall’indistinzione tra sentire e volere attraverso una differen-ziazione del bene dal male, nella pratica della scelta.


Il “destino” dell’uomo è quello di vedere (nudità) la propria volontà limitata dagli istinti ed i propri istinti costretti dalla volontà (cfr. Mt XXVI, 41), dentro il “gioco del dualismo” (la croce solida e la vasca esagonale), fintanto ch’egli, raggiunto da un fine superiore, non accetti di sprofondare nelle latebre della sua essenza, aldilà del dualismo, accogliendo come proprio non soltanto ciò che ritiene debba essere il bene, ma anche il presunto male.


Una volta affrontata la morte dell’io ed una volta riconciliato con se stesso, sale dall’uomo una nuova consapevolezza unitaria di Sé. Per il rapporto di reciprocità che è più volte stato indicato in essere tra senso e coscienza, all’ascesa di una nuova consapevolezza unitaria di sé corrisponde, specularmente, la discesa di un nuovo senso dall’ordine cosmico alla persona: uno spirito nuovo che soccorra l’anima estinta.


Il rinnovamento avviene nel sepolcro: come ricordano i costruttori di cattedrali, è la croce a mettere in comunicazione il cerchio con il quadrato; è il sacrificio dell’io (preconcetti) a evocare il Sé (consapevolezza). Il percorso di crescita cui educa il simbolismo può sostanzialmente essere riassunto in tre tappe fondamentali, le stesse che l’iniziazione cristiana identifica nei sacramenti del Battesimo, Cresima e Comunione. Nel Battesimo, il catecumeno diviene membro vivente del corpo mistico della Chiesa: è la nascita alla sequela nel segno dell’indifferenziato, in una condizione in cui il collettivo prevale sui soggetti. Come ricorda Jung, la moralità personale è inversamente proporzionale all’adesione a norme collettive, in quanto queste ultime dividono di fatto il bene ed il male per l’individuo, ma a prescindere da lui: il secondo passaggio consiste allora nell’attraversamento del dualismo, nel farsi cresimare (ungere) per la guerra santa (cfr. 2 Tm IV, 7) in cui la sicurezza del gruppo è sacrificata per la ricerca di un bene ed un male personalmente accolti. La Comunione costituisce il possibile epilogo del percorso iniziatico: il sacrificio dell’ego e delle sue pre-comprensioni di bene e di male, in vista di un Sé che non escluda più nulla dei termini duali in cui la persona si esprime nella materia.


Il recupero del Sé è il presupposto affinché l’uomo possa riconoscere che ciò che fu valido per lui, ossia a livello microcosmico, possa risultare plausibilmente valido anche per il mondo, a livello macrocosmico: quando ciascuno è disposto a sacrificare persino il Sé ad un senso che coinvolga non solo la sua intera esistenza, ma l’intero universo (cfr. Mt XVI, 15-16), allora l’uomo accede alla dignità regale che da sempre detiene (cfr. Ap XXII, 5-7).