domenica 11 settembre 2016

La luce che illumina ogni uomo

In un precedente articolo sul significato metafisico del male si è mostrato, indirettamente, come la dottrina del cosiddetto “peccato originale” abbia una qualche valenza solo sul piano exoterico (cioè pubblico, ovvero adatto anche ai livelli “catechistici” e più semplici dell’iniziazione alla fede): l’idea d’incorrere in un guaio ereditario, nel perseguire la conoscenza, nasconderebbe infatti significati più sottili. Non è possibile conoscere senza “scomporre”, per così dire, l’unità dell’Essere in coppie polari di termini contrapposti (facendo salve tutte le “sfumature” intercorrenti fra un polo e l’altro di ogni sistema duale):  non è possibile conoscere se non per comparazione, perché non è possibile conoscere il bianco senza il nero o il basso senza l’alto. Incontrando la realtà e la bontà dell’esistere, l’uomo, inevitabilmente, accoglie o rifiuta gli essenti (le cose) che entrano nella sua esperienza; l’atto stesso di riconoscere il bene e l’Essere, esige necessariamente una comparazione con qualcosa che sia vissuto come un apparente male e un apparente “non-essere”. A questo punto dovrebbero sorgere spontanee una considerazione e quindi almeno un paio di domande: se la dottrina del “peccato originale” educe miticamente s’una condizione “strutturale” della realtà («conoscenza e “produzione” del male sono indissolubilmente legate») e non su una colpa storica da riparare, allora le attuali dottrine cristiane della salvezza potrebbero avere un qualche senso nel solo caso in cui anch’esse venissero lette non in senso letterale («qualcuno ha sbagliato e qualcuno deve pagare»), ma in un qualche altro modo esoterico e metafisico; in che termini, dunque, l’inevitabilità metafisica di un “male” implicito nella conoscenza dovrebbe costituire una responsabilità personale del cristiano? In che termini, dunque, la dottrina salvifica inerente il sacrificio del Cristo insegnerebbe una qualche verità?


Innanzitutto sarà opportuno avanzare alcune considerazioni riguardo la soteriologia (cioè la dottrina della Salvezza) exoterica cristiana, dal momento che esistono alcune differenze concernenti le varie professioni di questo culto. L’interpretazione salvifica della vita di Gesù è opera di Paolo, il quale da un lato relativizza la biografia del suddetto rabbino ebreo morto sotto Ponzio Pilato (nel senso che Paolo se ne disinteressa totalmente e non sarebbe potuto essere diversamente, visto che secondo le fonti non ne sapeva nulla) e dall’altra sposta l’attenzione dei devoti dalla sequela del messaggio al culto della persona (persona per di più astratta da ogni accenno biografico, come si diceva): in questo modo Paolo, erede delle contaminazioni ellenizzanti del mondo farisaico ed uomo oggetto di sospetti circa suoi contatti con l’ideologo romano Seneca, fonda una nuova religione che si prefigge come fine, sul piano exoterico, la salvezza dal peccato originale commesso dai progenitori. Come ricorda il grande biblista (autore di dizionari d’ebraico biblico) valdese Daniele Garrone (e come sempre  hanno affermato gli esegeti ebrei), non esiste in realtà alcuna relazione necessaria fra l’episodio cosiddetto “della caduta” e una nozione di “condanna ereditaria” da espiarsi tramite un salvatore: tralasciando pertanto tutte quelle correnti cristiane che pretendono di correlare la caduta e la salvezza tramite una lettura sedicente “letterale” delle Scritture, ci si concentrerà ora, a seguire, sulla soteriologia così com’è insegnata e “ragionata” sotto l’autorità del magistero Cattolico.


La dottrina cattolica pubblica riguardo la salvezza (articolata nel Catechismo della Chiesa Cattolica ai punti 599-623 ed in particolar modo ai pp. 615 e 618) enuncia che il Salvatore produce il riavvicinamento, tra gli uomini e Dio, attraverso la sostituzione della sua costosa obbedienza all’originaria disobbedienza umana. In quanto vero uomo, Gesù sarebbe stato in grado d’attribuire alla natura umana la sua propria obbedienza; in quanto vero dio, Cristo dà una portata universale al proprio operato, tale quale fu la portata dell’agire dei progenitori, anch’essi “tutt’uno” col “sentire” di Dio, prima di peccare. Sulla scorta dell’ontologia tomista si potrebbe aggiungere che, essendo Dio l’Essere e cioè il Bene stesso, per la dottrina cattolica il solo porsi in antagonismo con Lui significa negare l’intera realtà (e da qui la schiavitù subìta, secondo la dottrina, dal creato a seguito dell’errore umano) oltreché la propria e perciò negarsi la “connessione” ad ogni bene: disobbedire a Dio sarebbe infatti il Male in sé, poiché Dio sarebbe il Bene in sé. Gesù Cristo, compiendo un atto insuperabile (la cessione incondizionata della propria esistenza materiale) e universale di obbedienza a Dio, per conto del genere umano, sottrarrebbe quest’ultimo alla “contraddizione ontologica” in cui si sarebbe, appunto, precedentemente posto: quella per cui, avendo confuso la personale esperienza con la pienezza dell’Essere, si sarebbe ridotto ad una forma (personalità umana) sussistente in antagonismo (sul piano soggettivo) alla propria sostanza (Essere divino). Come si potrà notare, la dottrina pubblica della Chiesa, sebbene già molto profonda metafisicamente sul piano teologico, manca, com’esposta finora, di considerare alcuni elementi che paiono invece fondamentali nel mito biblico, come la presenza del serpente e l’oggetto della disobbedienza stessa, cioè la volontà di conoscere. Il Cattolicesimo Romano pare limitarsi ufficialmente ad associare il serpente alla tentazione e la conoscenza all’autoreferenzialità (quando non ad un atto sessuale promiscuo, come fu detto in passato: attribuzione che peraltro, sul piano simbolico, risulterebbe foriera di “gravi” considerazioni ulteriori). Se il peccato dell’uomo che si rinnova ad ogni generazione è quello di riconoscere una consistenza assoluta alla propria esperienza, tale da fargli perdere il contatto esperienziale tra la propria soggettività storica e l’unità ontologica e super-individuale del reale, questo accade perché ogni uomo che nasce non può rendersi conto dell’Essere se non per comparazione con qualcosa che avverta contrario ad esso. Incontrando ogni cosa per la prima volta alla nascita, in una condizione biologica di bisogno, l’uomo non può che accogliere o rifiutare ciò di cui fa esperienza; accogliendo o rifiutando ciò che incontra, inevitabilmente secondo il proprio criterio, l’uomo non può che ridursi a considerarsi il centro del mondo; finendo inevitabilmente per collocarsi al centro del proprio mondo d’esperienze e di scelte, l’uomo non può che finire col riconoscersi separato da quell’unità ontologica dell’Essere che, pure se reale e persistente, è fino a quel punto preclusa al suo sguardo. Quale salvezza aspettarsi dal Cristo?


La costituzione Dei Verbum, espressione del Concilio Ecumenico Vaticano  II, al punto 2 recita testualmente: « Questa economia della Rivelazione comprende eventi e parole intimamente connessi, in modo che le opere, compiute da Dio nella storia della salvezza, manifestano e rafforzano la dottrina e le realtà significate dalle parole, mentre le parole proclamano le opere e illustrano il mistero in esse contenuto. La profonda verità, poi, che questa Rivelazione manifesta su Dio e sulla salvezza degli uomini, risplende per noi in Cristo, il quale è insieme il mediatore e la pienezza di tutta intera la Rivelazione ». Il brano riportato appare di un’importanza teologica decisiva poiché, superando le astrazioni paoline di cui già s’è detto, connette le speranze dei cristiani non solo al gesto sacrificale della Croce -compreso nei termini di un culto alla persona del Salvatore, ma anche e soprattutto al messaggio considerato tutt’uno col corpus rivelativo del Figlio di Dio. Se la soteriologia cattolica, sul piano ontologico, illustra la riconciliazione tra forma e sostanza (tra esperienza umana ed Essere divino) operata grazie all’obbedienza fattuale di Gesù Cristo, sul piano dell’autocoscienza essa annuncia il superamento di ogni prospettiva “materialista” dell’esistere ed in ciò, anche il superamento di ogni dubbio circa la positività radicale dell’esistenza. Sul piano exoterico, la dottrina cattolica della salvezza supera il materialismo annunciando la risurrezione del Salvatore: la realtà è molto più di quanto gli “occhi della carne” riescano a vedere; nell’annuncio di un dio che sacrifica il suo più grande bene per l’uomo, la dottrina pubblica cattolica supera poi ogni dubbio riguardo la sostanziale bontà della vita umana. Sul piano esoterico, la risurrezione indica il carattere episodico dell’esperienza temporale entro un ambito più ampio dell’esistere, fornendo quelle “coordinate d’eternità” alla coscienza umana che possono poi essere già vissute facendo riferimento agli insegnamenti veri e propri del Maestro; la duplice natura umana/divina del messia, dal canto suo, educa al principio d’analogia. Si va ad istituire un percorso d’iniziazione per il quale il credente, passando per l’individuazione personale (cioè per l’emergere di una sua consapevolezza identitaria e soggettiva) nel quadro dualista (comparativo e temporale) dell’esperienza materiale, può vedersi riaprire i propri orizzonti sull’unità dell’Essere: non tanto nella forma originaria della indistinzione tra sé ed Esso, quanto in quella post-soggettiva della Nuova Alleanza, suggerita dal concetto di Comunione. Essendo la vita materiale un periodo integrante di ciò che ogni ente ed uomo è come soggetto eterno, un riconfigurarsi del proprio status nel contesto temporale implica un’evoluzione soggettiva anche sul piano di ciò che ciascuno è nell’orizzonte dell’eternità.


Riassumendo, sul piano exoterico il Cristo salva sostituendo la propria universale obbedienza all’universale disobbedienza dei progenitori, in questo modo sottraendo l’uomo alla condizione d’isolamento e di smarrimento in cui s’era da solo “ficcato”: contestualmente a tale recupero ad opera di Dio, l’uomo vivrà la propria emancipazione dall’isolamento grazie ad un agire concretamente teso alla relazione costruttiva con se stesso, con la realtà, con gli altri e con Dio (questo è il senso del ruolo delle proprie “buone” azioni nella economia della salvezza). Sul piano esoterico ed a causa della relazione ontologica che vige fra realtà e coscienza e fra questa e l’eterno, l’uomo, accogliendo (in un primo tempo ancora dualisticamente, in termini di preferenza personale) la rivelazione, si trova a vivere in una nuova realtà temporale ed ontologica (i “cieli nuovi e terra nuova” della dottrina pubblica) a causa del rinnovamento che, nella propria coscienza, si è prodotto come effetto di una inedita autocomprensione nei riguardi dell’eternità, unità e bontà dell’Essere.