martedì 25 aprile 2017

Cristianesimo e simbolo. X iniziazione

Dopo avere stabilito quali siano i criteri per riconoscere gli elementi mitici di una narrazione e per stabilire quale interpretazione simbolica sia ragionevolmente attribuibile a ciascuno di essi, nel precedente articolo ho voluto distinguere l’esoterismo cristiano dal Cristianesimo esoterico: se con la prima dicitura possiamo definire la ricerca simbolica interna a ciascuna tradizione cristiana ortodossa, con la seconda indichiamo un tipo di cristianesimo simbolico che attinga a fonti ulteriori rispetto a quelle canoniche (Scritture, Tradizione, Magistero). L’esoterista cristiano può appartenere a qualunque chiesa tradizionale: ciò che lo distingue dai suoi correligionari è il ritenere che le Scritture e la dottrina professata siano “vere” sul piano simbolico e non sul piano letterale; per capirci, se l’esoterista cristiano in questione fosse un cattolico, posto davanti al dogma dell’Assunzione al cielo della Vergine Maria, egli non intenderebbe questo come il “decollo” della Madonna verso gli spazi siderali (quasi lei fosse un missile), ma leggerebbe in esso l’espressione mitica di un cambiamento di stato esistenziale. L’esoterista cristiano non mette in alcun modo in discussione né le Scritture, né la Tradizione, né il Magistero, né la Liturgia: anzi, legge entro i suddetti strumenti una forza arcana che abbia guidato la loro formulazione nella storia, affinché chi formulasse ingenuamente la lettera, di volta in volta si facesse in effetti veicolo, surrettiziamente, di realtà superne a lui appunto ignote. Venuto a contatto con la prospettiva mitica, l’esoterista cristiano impara progressivamente, da un lato, a conoscere la genesi storica dei simboli; dall’altro, a relativizzare i presunti eventi storici della rivelazione: essendo che le dottrine cristiane tradizionali si fondano tutte quante sul presupposto della storicità del kerygma (cioè l’insieme di passione, morte e resurrezione del Cristo), l’esoterista cristiano è destinato, proseguendo nei suoi studi e vincendo le proprie resistenze psichiche, a “trasformarsi” in un cristiano esoterico, ovvero nel testimone di una forma di credenza non più fondata su di un salvatore “oggettivo” (qualcuno che giunse comunque storicamente, per risolvere concretamente il guaio del Peccato Originale), ma su quella di un salvatore soggettivo (un simbolo, il cui compito è quello d’insegnare qualcosa a chi voglia/possa ascoltarlo).


La scoperta dell’esoterismo è una possibilità che le dottrine ortodosse custodiscono loro malgrado nella liturgia, la quale costituisce un vero e proprio “portale iniziatico” in ogni religione tradizionale: non è infatti possibile cogliere il senso della liturgia senza apprendere il valore allegorico dei gesti e dei suoni e dei tempi e chiunque decida di emergere dal puro uso consumistico del culto, teso verso una spiritualità più pura, non potrà che finire con il dedicarsi allo studio della sua religione, durante il quale non potranno che emergere, sempre più chiaramente, i rimandi allegorici che la dottrina ha nella pratica del culto. Il culto mostrerà di tradurre la dottrina in suoni e gesti e tempi derivanti dalla vita quotidiana e dalle Scritture: il gesto dello spezzare il pane, ad esempio, verrà scoperto nel suo relazionare i frutti della terra con il lavoro dell’uomo, ma anche nella sua relazione con la Pasqua ebraica. Studiando i nessi fra il sacrificio del Cristo e lo spezzare il pane, il cercatore si potrà educare a cogliere, nel mondo, i segni di realtà spirituali; studiando la Pasqua ebraica, il devoto appassionato potrà scoprire le di lei radici storiche in culti precedenti e la connessione non solo con la fuga dall’Egitto, ma anche e soprattutto con i culti stagionali e pastorali cananei. Il giorno in cui il credente vedrà l’autorità ecclesiastica giustificare ciò che lui valuterà esser un abuso, attraverso un’interpretazione letterale della dottrina, egli affronterà la sua prima prova iniziatica, quella che apre il sentiero dell’individuazione: sceglierà se inginocchiarsi all’autorità o controbattere con un’interpretazione “nuova”, frutto dei suoi studi e consistente in una rilettura metaforica della morale religiosa; così come inizialmente fu il desiderio di Dio e della Sua giustizia a spingere il cristiano onesto verso lo studio, così ora il medesimo daimon, se accolto, lo spingerà a rivoltarsi all’autorità grazie allo strumento del simbolo; passata la porta, si ritroverà in un nuovo stadio evolutivo, quello dell’iniziato, quello dell’esoterista cristiano. Come si è detto, il passaggio dall’esoterismo cristiano al Cristianesimo esoterico è determinato in prima istanza dalla nuova ricomprensione simbolica della dottrina già descritta ed in seconda battuta, dall’ammissione progressiva a se stessi dell’effettiva inconsistenza di quest’ultima: come si nota, le costanti di queste prime tappe del percorso iniziatico (procedente da una religione tradizionale), ma anche delle successive, sono la dedizione a Dio ed alla sua giustizia, il desiderio di evoluzione e la fedeltà a se stessi, intesa come tutt’uno con la fedeltà a quel Dio che il cercatore riconosce star alla guida della sua personale ricerca. In una sola descrizione, potremmo affermare che il motore dell’iniziazione sia la ricerca di un senso per la propria vita, ricerca attuata attraverso la fedeltà al proprio démone interiore, cioè ad un’intuitiva avvertenza di sé; in una sola parola, potremmo affermare che la chiave evolutiva dell’Uomo risulti essere il desiderio.


Utilizzando un gergo gnostico, potremmo identificare: il “consumismo religioso” (ovvero la prassi di aderire ad un culto per motivi apotropaici o “magici” di do ut des) dei più, come espressione degli ilici; l’ossequio indiscusso alla religione (per motivi in fin dei conti sempre consolatorii) dei moralisti, come riferibile agli uomini psichici; la religiosità di onestà e desiderio dei cercatori, come appannaggio dei soli pneumatici. In effetti, se l’onestà verso se stessi ed il proprio desiderio (di Dio, di sé, di senso) costituisce la “molla” di ogni avanzamento in campo iniziatico, il nascondersi a se stessi e cioè la paura, ne incarna l’inevitabile “freno”: la paura, dal canto suo, costituisce un ingrediente essenziale del Cristianesimo tradizionale, costantemente sottolineante la completa nullità dell’uomo davanti al dio e di conseguenza la completa mercé dell’uomo a quest’ultimo. Checché se ne dica citando frasi del genere “vi ho chiamati amici”, il dio cristiano si mantiene il consueto, sanguinario ed irascibile, YHWH dell’AT (cfr. Gv XV): Gesù stesso specifica che per “amici” egli intende chi obbedisce al “padre” ed a lui; che soltanto chi fa la volontà del Padre è suo consanguineo (cfr. Mt III, 50); che tutto sommato, davanti al Padre, i devoti continuano ad essere i medesimi “servi inutili” (cfr. Lc XVII, 5-10) dell’AT. La demonizzazione della ricerca autonoma comincia, in ambito cristiano (lo abbiamo visto), dall’interpretazione costantemente fornita dalla Chiesa riguardo l’episodio di Gn III in cui Adamo ed Eva sarebbero “caduti” a causa della loro pretesa di stabilire da sé il bene ed il male, contro l’ordine di Dio; il tema della paura e della sottomissione attraverso tutto quanto il Pentateuco, continua ad esprimersi nell’immagine del “dio geloso”, si concretizza nella pretesa di sangue dal figlio e dagli apostoli e trova la sua degna conclusione in una fine dei tempi “dipinta” come uno sterminio di massa di quanti non si saranno convertiti. Come già accennato in altri articoli e come vedremo nel prosieguo di questa serie, agli antichi temi sapienziali del rapporto fra unità e dualismo e di quello fra uscita da sé e rinnovamento, le Scritture e la Tradizione cristiana che vive nella reciprocità con esse, associano una costante pretesa di sottomissione, tale da non consentire di restare ortodossi, eludendola. Facendo leva sull’ancestrale paura dell’abbandono, i cristianesimi tradizionali uccidono il daimon rendendo tanto più complessa l’iniziazione, quanto maggiore sia stato l’investimento affettivo precedente, del credente, nei riguardi della sua Chiesa. L’episodio di Giacobbe, che mostra il cielo aprirsi a seguito della sua sconfitta a vantaggio del daimon, è spiegato come l’inutilità di combattere contro la forza soverchiante del padrone; l’Illuminazione, ovvero la cittadinanza celeste, vien dipinta come dono del padrone a chi più gli sia rimasto in ginocchio davanti.


La cosiddetta “iniziazione cristiana”, lungi dal costituire un percorso evolutivo della persona nel reale, stupra il lessico esoterico per descrivere una serie progressiva di doveri del credente rispetto al corpo ecclesiale; la gerarchia che dovrebbe rappresentare, sul piano exoterico, le possibilità evolutive del piano esoterico (piano che in realtà manca a tutte le attuali forme di cristianesimo, eccezion fatta forse per alcune Chiese ortodosse orientali: il che rende improprio, per i cristianesimi attuali, anche la definizione di "exoterici") del culto, riproduce in realtà, sul piano di chi si è elevato dal ruolo di pecora a quello di pastore, il medesimo meccanismo, ma in senso speculare. Nell’iniziazione “bassa” dei laici, che va dal battesimo alla comunione e passando per la confermazione (mi riferisco all’ordine tradizionale antico e non all’attuale consuetudine italiana), i doveri del servo aumentano; nell’ “iniziazione alta” dei chierici, che va invece dal diaconato all’episcopato e passando per il presbiterato (i preti), i doveri del servo diminuiscono quanto più egli vada a costituirsi come padrone a sua volta, fino all’esponente in terra del dio padrone di tutto: il Papa. Com'è facile capire, in tutto questo la fedeltà alla verità, nella fedeltà alla propria esperienza, conserva un ruolo risibile: al sistema Chiesa, cioè al potere, interessa soltanto riprodursi, per cui l'inginocchiarsi progressivamente è l’unico modo per giungere a comandare.

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