giovedì 13 aprile 2017

Cristianesimo e simbolo. VIII esoterismo

Nel precedente articolo, sulla scia della presentazione di un simpatico esempio proposto dall’antropologo Maurice Bouisson e riguardante una strampalata interpretazione “solare” della biografia di Napoleone,  ho mostrato in quali termini io ritenga legittimata, a rigor di logica, una lettura simbolica del NT. Anzitutto, ribadii che « “i concetti di archetipo, di mito e di simbolo sono risalenti all’epoca illuminista; nella percezione antica, il mito si confonde con la poesia (sono i poeti, ad inventare le leggende) e la poesia si confonde con un’ispirazione soprannaturale che ha come proprio modello l’esperienza sciamanica”: questo significa che l’intendimento contemporaneo del simbolo, successivo alla lezione di Voltaire […] e soprattutto di Freud, è probabilmente anacronistico rispetto alle intenzioni di coloro che, in epoca pre-cristiana, si trovarono ad elaborare le narrazioni fondanti dei propri popoli »; in seconda istanza, ricordai la ricomprensione junghiana del « tema di simbolo come “oggetto d’intuizione”, ovvero come restituzione, nelle forme di una specifica cultura (sul piano storico collettivo) o coscienza (su quello storico esistenziale), di esperienze ancestrali (sul piano della specie) od inconsce (sul piano dell’individuo) »; quindi, procedetti con l’esporre un elenco di caratteristiche che un elemento narrativo dovrebbe possedere, per giustificare una sua lettura simbolica. In particolare, nell’esigenza (4) di «coerenza fra il significato simbolico riconosciuto ad un elemento [narrativo] e le caratteristiche fisiche oggettive dell’elemento significante stesso», provai ad anticipare il tema ch’è lo specifico oggetto del presente lavoro e cioè la qualità dell’interpretazione sostenibile da un simbolo, qualora esso sia riconosciuto come tale. Le questioni problematiche legate alla lettura degli elementi simbolici di una narrazione, sono in effetti due: la prima è quella di riconoscerli e la seconda è quella di sapere attribuire loro un valore a loro coerente, cosa niente affatto facile per il fatto che i simboli sono polisemici in se stessi e sempre speculari alla sensibilità delle epoche e persone che li vadano ad utilizzare.


Per convenienza e riferendomi appunto al già citato elenco di qualità da me già proposto nell’articolo precedente, attuerò ora anzitutto un esempio “semplice” riguardante il simbolo grafico della Massoneria, qui sopra riportato: la squadra ed il compasso che s’intersecano a formare una stella a sei punte. Trattando noi ora di un simbolo dichiarato, possiamo risparmiarci tutta l’analisi tesa a legittimare una lettura esoterica dell’immagine in oggetto (di quella procedura, peraltro, ritengo d’avere già dato ampia dimostrazione in tutta la serie di lavori riguardanti il rapporto fra Cristianesimo e simbolo). Cominciamo con il notare che la squadra ed il compasso sono due strumenti del disegno tecnico: se il disegnare in genere è la capacità di restituire, attraverso dei segni, una percezione interiore (disegno immaginifico) od esteriore (disegno dal vero), il disegno tecnico è lo strumento per restituire, attraverso dei segni, un protocollo, una procedura e cioè una progettualità (a sua volta desunta da un’idea del disegnatore o da qualcosa di visto già realizzato); il primo dato che ci fornisce il simbolo è quindi quello di riferirsi ad un percorso. Analizzando le qualità dei due strumenti, riconosciamo che il compasso definisce un’area determinabile soggettivamente (apertura più o meno ampia conferita al raggio del cerchio) il cui perimetro sia però sempre, ovunque, equidistante dal suo centro; la squadra, dal canto suo, determina sia l’entità di due linee (la loro lunghezza), che il tipo di relazione (angolo) che le lega: questo ci fa capire che il tipo di percorso di cui il simbolo parla procede tramite i due strumenti della comprensione (circonferenza) partendo da sé (centro) e quindi di carattere soggettivo, che dalla misurazione (lunghezza) e messa in relazione (angolo) dei dati oggettivi del reale. Si può notare come la vite che tiene il compasso, ovvero l’asse attorno al quale si determina l’estensione del raggio del cerchio, abbia il “taglio a croce”; provando ad immaginare il compasso posato su di un piano, è facile capire come l’asse della vite sia perpendicolare alla croce del taglio e questo dettaglio, assieme al fatto di stare parlando d’uno strumento per il disegno tecnico, mi fa immediatamente pensare a Vitruvio che, nel suo De Architectura (associazione più che legittima, dato che stiamo parlando del simbolo dei massoni), illustra la procedura per determinare la pianta di un tempio partendo dall’orientamento solare:

«Al centro dell’area scelta si erige un albero maestro attorno al quale si traccia un grande cerchio; si osserva l’ombra che cade sul cerchio; lo scarto massimo fra l’ombra del mattino e quella della sera indica l’asse Est-Ovest; due cerchi centrati sui punti cardinali del primo indicano, attraverso la loro intersezione, gli angoli del quadrato. Quest’ultimo è la quadratura del cerchio solare. E’ importante ricordare con precisione le tre operazioni della fondazione, ovvero: il tracciato del cerchio, il tracciato degli assi cardinali e l’orientamento, il tracciato del quadrato di base, perché sono queste che determinano il simbolismo fondamentale del tempio con i suoi tre elementi corrispondenti alle tre operazioni: il cerchio, il quadrato e la croce per mezzo della quale si passa dal primo al secondo» (J. HANI, Il simbolismo del tempio cristiano, Arkeios, Roma 1996).

Possiamo finora capire che il percorso proposto dalla Massoneria ed illustrato magistralmente nel suo simbolo, prevede per l’iniziato l’acquisizione della capacità di erigere un tempio (ascesi), partendo da un progetto (presupposto volitivo), tramite gli strumenti della comprensione soggettiva, della misurazione e della correlazione oggettiva dei dati. Non ci resta ora che analizzare la posizione dei due strumenti, l’uno rispetto all’altro, per cui anzitutto va notato che il compasso è posto sopra e la squadra è posta sotto: ci sarebbe un lungo discorso da fare su questo fatto (in merito ai diversi gradi iniziatici della Massoneria), ma, essendo noi qui ad osservare il simbolo in quanto tale, onde potere cogliere, da questa osservazione, un metodo, mi limiterò a considerare che la misurazione oggettiva sta evidentemente alla base del percorso, mentre la comprensione soggettiva vi si appoggia (ne è, cioè, la risultanza progressiva). Per concludere in modo ancora sommario, ma preciso, la disamina del simbolo, noteremo che i due strumenti determinano visivamente, l’uno rispetto all’altro, due “frecce”, rispettivamente una (compasso) con il vertice verso l’alto e l’altra (squadra) con il vertice verso il basso: a quanto pare, la misurazione riguarda le cose terrene, mentre la comprensione riguarda le cose celesti (il che conferma la correttezza della mia associazione precedente a Vitruvio). Le due “frecce” rappresentate dalla squadra e dal compasso finiscono con lo stilizzare, nel loro essere sovrapposte, una cosiddetta “Stella di Davide”, ovvero un ulteriore simbolo: a questo punto, si dovrebbe procedere con l’illustrazione sistematica anche di quest’ultimo, cosa che però non farò, visto che quanto riportato mi pare sufficiente ad indicare il metodo per attribuire valori precisi, per quanto analogici, ad un elemento simbolico.


Venendo ad applicare il metodo interpretativo non ad un disegno, ma ad un mito, possiamo desumere le medesime esigenze di coerenza: il senso attribuito, per quanto analogico, dovrà sempre risultare aderente alle caratteristiche letterali dell’elemento analizzato. Per fare un esempio, se la Bibbia definisce YHWH come “Signore degli eserciti” (accantoniamo in questa sede, per ovvie ragioni di tema, il problema delle traduzioni), noi potremo, a seguito di una ricerca (sulle figure retoriche dell’epoca, sul genere letterario del brano, sui miti precedenti a cui la definizione pare riferirsi, ecc.), stabilire “che tipo” di signoria venga attribuita a Dio e "su che tipo” di esercito egli dòmini, ma mai potremo dire (come invece s’è ampiamente fatto), che tale definizione indichi una sua generica maestà sul creato: NO, lì si parla di un ruolo preciso rispetto ad un contesto preciso e tutti i significati simbolici che si vorranno vedere nel termine “Signore” e nel termine “esercito”, dovranno necessariamente riguardare l’azione di comando, da parte di YHWH, verso una forza combattente (non a caso, la dottrina preconciliare della Chiesa definiva quest’ultima “militante”). Un altro fattore di coerenza interpretativa, oltre a quello formale appena illustrato, è quello filologico: se, davanti alla Bibbia che definisce YHWH come “dio geloso”, noi per esempio ritenessimo di associare il personaggio ad un elemento metafisico come l’Essere, allora potremmo ipotizzare che l’affermazione stia ad indicare il fatto che all’Essere stesso non esistano alternative (nel senso: “tutto ciò che c’è è nell’Essere, quindi l’Essere è un Dio geloso, perché tutto ciò che non è in lui, non c’è): a quel punto, però, qualcuno ci farebbe notare l’illegittimità della nostra lettura, visto che il pensiero filosofico greco era del tutto estraneo agli autori ed al periodo ed alla mentalità responsabili della redazione di quella definizione di YHWH. Se nel NT il “dio del Cristo” viene costantemente riconosciuto come il dio degli ebrei, ebbe ragione la Chiesa ad opporsi a Marcione, il quale invece riteneva illegittimamente (cioè in modo incoerente rispetto alla lettera del testo) che l’AT ed il NT si riferissero a due dèi distinti: volendo ipotizzare che Gesù abbia mantenuto una continuità strumentale fra la propria dottrina e quella mosaica, al solo fine di rendersi più comprensibile dai propri connazionali (tesi che, comunque, andrebbe dimostrata in modo coerente con la lettera dei suoi insegnamenti…i quali invece confermano l’idea di un dio che separa le pecore dai capri, destìna alla Geenna, ecc.), ciò nonostante non possiamo fare a meno di notare che, in modo legittimo (data la continuità che lui stesso, appunto, mantenne), i cristiani ortodossi ancora oggi ritengono doveroso non dimenticare le prerogative di YHWH, nel valutare il Padre del NT. Qualunque cosa abbia pensato il Gesù storico, è col Cristo dei testi che i cristiani si confrontano ed è nella coerenza coi testi che si può elaborare una legittima interpretazione esoterica degli stessi (e delle dottrine ad essi rifacentisi). Se il “dio del Cristo” premia l’obbedienza, ovvero la sottomissione al padrone e a Gesù che del padrone si dichiara figlio esemplare, noi potremo anche trovare argomentazioni legittime (cioè coerenti con l’oggetto letterale del racconto e con il contesto di formulazione del racconto) per dare una certa valenza simbolica al padrone ed in base a ciò relativizzare l’idea di sottomissione, ma mai saremo legittimati dal testo a ritenere che non di sottomissione si tratti (a meno che non si documenti trattarsi di una figura retorica atta a dire altro), quanto piuttosto, ad esempio, di un percorso di ricerca, relazione di scambio e rispecchiamento col reale: NO, lì si parla di sottomissione all’autorità di qualcuno/qualcosa che pretende di essersi rivelato/a nel modo di fare di un individuo preciso, individuo il quale, per l’appunto, si pone come coerentemente "ad esempio", per tutti, nel farsi ammazzare pur di restare inginocchiato innanzi al suo dio, a dispetto di sé.

Nessun commento:

Posta un commento