domenica 7 maggio 2017

Cristianesimo e simbolo. XI terzo sommario

Avanziamo in un’ulteriore ricapitolazione del lavoro fino a qui intrapreso con questa serie d’articoli:

IV, primo sommario (presupposti di un’interpretazione mitica del Cristianesimo);
VI, secondo sommario (sottomissione come contributo essenziale dell’Ebraismo);
VII, significanti (riconoscere un simbolo nell’ambito di una narrazione tradizionale);
VIII, esoterismo (stabilire e valutare la legittimità di un’interpretazione simbolica);
IX, significati (Cattolicesimo, esoterismo cristiano e Cristianesimo esoterico);
X, iniziazione (gerarchia, iniziazione e sua parodia nelle Chiese tradizionali).

Avendo affrontato sistematicamente (per quanto non in modo esaustivo) tutte le principali problematiche emergenti dalla necessaria ricomprensione storica della genesi della dottrina cristiana, mi appresto ora a tirare le somme per quanto concerne un giudizio su tale dottrina, alla luce dell’indicazione evangelica per cui dai frutti si riconosce l’albero (cfr. Mt VII, 15-20). Prima di procedere, mi preme riaccennare ad alcune considerazioni: 1) alla luce dei dati finora esposti, appare come estremamente più probabile, rispetto alla tesi ufficiale della dottrina, l’ipotesi di una genesi squisitamente strumentale del NT, nato chiaramente da fonti composite al solo fine di vincere una battaglia culturale della sua epoca di redazione; 2) Quali che siano state le reali idee del presunto rabbino itinerante (ed eventuale insurrezionalista) Jeshua il nazireo, non si può che ammettere l’evidente sincretismo in cui esse siano confluite all’interno del NT, data l’enorme eterogeneità delle fonti di quest’ultimo; 3) Quali che siano state le reali idee del personaggio storico Jeshua, non si può che ammettere come la Chiesa abbia costruito non su di esse la propria azione, ma sul sincretismo esposto nel NT, che pertanto, assieme alla dottrina stessa ed alla Liturgia, risulta essere l’unico documento eventualmente oggetto di una rilettura simbolica del Credo; 4) alla luce di ciò, occorre ammettere però anche come non si possa essere davvero cristiani, in senso tradizionale, interpretando esotericamente le Scritture, visto che le dottrine delle Chiese storiche pretendono di fondarsi su fatti realmente accaduti e in questo senso un esoterista cattolico non può che cogliere, nei simboli del suo culto, rimandi allegorici ("ammiccamenti" culturali e concettuali) ad altri dati tradizionali, sempre in funzione del culto; 5) l’unico contesto di ragionevolezza per le affermazioni evangeliche, alla luce delle loro chiare derivazioni mitiche, è quello simbolico e per quanto appena detto, ne deriva che l’unico modo per essere ragionevolmente cristiani è quello d’essere cristiani esoterici (e non “semplicemente” esoteristi cristiani); 6) non c’è motivo logico per considerare simbolici gli insegnamenti evangelici sulla sottomissione a Dio e storico l’evento della risurrezione, atto per cui sarebbe a sua volta, infatti, necessario dare per storico l’evento che dottrinalmente giustifica la risurrezione salvifica stessa, cioè la caduta dei progenitori ch’è invece attestata in una miriade di culture precedenti a quella ebraica ed è quindi con tutta evidenza un mito (da che ne deriva: non essendo mai avvenuto il peccato, non ha senso che sia avvenuto l’evento della redenzione da un peccato mai compiuto).


7) Come si è visto, credere alla storicità della risurrezione in senso dottrinale, implica credere anche al motivo dottrinale della sua avvenuta, ovvero il Peccato Originale, il che a sua volta implica, necessariamente, l’aderire -magari inconsciamente- ad un’ideologia moralista fondata sulla sottomissione a presunti “valori oggettivi” risiedenti in effetti, in ultima istanza, nella volontà –interiorizzata dal credente- del dio padrone. Questo accade perché, siccome l'accoppiata "peccato-salvazione" associato alla risurrezione storica, assolutizza ogni etica ad essa tradizionalmente correlata ("se c'è una salvezza fatta così, è perché c'è un peccato fatto così; se c'è un peccato fatto così, chiunque faccia così è sbagliato e figlio d'un demonio"), di fatto non si può credervi senza essere sostanzialmente degli assolutisti e quindi dei moralisti; 8) mentre per un esoterista cristiano-tradizionale (cattolico, ad esempio) non risulta legittima alcuna interpretazione che, quale che sia il suo livello “apparente” di ragionevolezza, vada contro la credenza imposta dottrinalmente, ad un cristiano esoterico non pare legittima alcuna lettura che risulti filologicamente e/o semanticamente incoerente con la natura materiale di un mito o di un simbolo analizzati. A rigore di logica, in effetti, che un’interpretazione “letterale” sia ritenuta a buon titolo insufficiente a comprendere un mito, non significa ch’essa non centri niente col reale significato di questo, poiché se proprio quel simbolo è utilizzato, significa che proprio quel simbolo detiene gli attributi per lasciar intendere ciò che il redattore voleva suggerire. Se un mito parla di sottomettersi, anche una rilettura simbolica dello stesso dovrà prevedere una qualche forma di sottomissione, per forza. La differenza interpretativa occorrente tra un esoterista cristiano ed un cristiano esoterico riguarda il fermare o non fermare la propria indagine simbolica ai limiti imposti dalla credenza in una dottrina tradizionale ed è pertanto una questione di limiti posti alla propria apertura conoscitiva; 9) per un esoterista cristiano intellettualmente onesto, pare impossibile restar a identificarsi in una Chiesa per sempre; 10) non è possibile alcuna interpretazione simbolica (e quindi narrativa-educativa) di un’opera sincretica come il NT, senza che si considerino sia la diversità di valori in essa confluenti (cioè quali esigenze portino al suo interno i simboli mazdei; quali, i simboli ebraici; quali, quelli orientali; quali, quelli gnostici; quali, quelli greci; ecc.), che la “scala gerarchica” in cui essi siano quivi stati ordinati (quali costituiscono l’ “ossatura” del senso e quali un semplice “contro-bilanciamento” della prima?).


Parlando di Cristianesimo neotestamentario attraverso l’espressione storica dei suoi frutti, si è già spiegato come appaia in tutta evidenza che la Chiesa Cattolica abbia non già tradito l’insegnamento della lettera evangelica, ma piuttosto portato il suddetto al suo perfetto sviluppo pratico: sia nei modelli di santità da essa prodotti, che nelle azioni di prevaricazione socio-politica, essa ricalca perfettamente la prassi del Padre padrone, così come illustrata nel NT dal Figlio suo (e padrone a sua volta), di ritenere consanguinei (cfr. Mt XII,50) ed amici (cfr. Gv XV, 14) soltanto coloro che si facciano servi, ritenere servi soltanto coloro che obbediscano senza commentare (cfr. Lc VI, 40) ed altresì ritenere comunque “inutili” tutti i loro fedeli, a prescindere da quanto servili essi si siano dimostrati (cfr. Lc XVII, 5-10). Ipotizziamo, per un momento, che il NT parli in senso figurato di un’altra storia; ipotizziamo, per un momento, che il rabbino Jeshua non usasse mai la parola “padre” per riferirsi (come tutti da allora credettero) a YHWH, ma che abbia ben giocato sul fraintendimento per fini, puramente strumentali, di “aggancio” al retroterra culturale dei suoi interlocutori. Ipotizziamo che il NT parli della morte dell’ego in vista del superamento delle apparenze soggettive e del confluire dell’Io in un’originaria “coscienza cosmica” (alla maniera degli gnostici, in un certo senso) da esso definita “comunione col Padre”. Ipotizziamo, per un momento, che il NT utilizzi la parola “servi” per identificare i devoti alla “verità che fa liberi” (cfr. Gv VIII, 31-32) e che poi li riconosca come “amici”, al fine d’identificare la comunione di coloro che siano sfuggiti all’inganno dell’Io obbedendo al (suo) “richiamo della luce”. Ipotizziamo, per un momento, che i servi siano definiti “inutili” per sottolineare la vacuità di qualunque moto dell’ego. Di per sé, ritengo che tutte le letture simboliche testé da me fornite, risultino in un certo senso legittime, cioè coerenti con la lettera evangelica presa in se stessa, ma occorre ricordare che la vera spiegazione dei vangeli risiede nelle lettere paoline, la cui dottrina precede la loro stesura ed anzi ne costituisce il paradigma redazionale (cioè il criterio con cui sarebbero stati riorganizzati i materiali di base nei quattro vangeli canonici ed in special modo nei tre sinottici Marco, Matteo e Luca). Ora, tutta la lettura paolina della vicenda cristiana si muove nella tensione fra due istruzioni fondamentali: la rinuncia al mondo intesa come abbandono d’ogni progetto personale e come sottomissione all’unica autorità dell’apostolo (e fin qui, non avremmo niente di diverso da ciò che accade in ogni psico-sétta) auto-proclamatosi tale, in vista del ritorno imminente del Cristo; la delusione per il mancato ritorno e la conseguente accentuazione del centralismo organizzativo e teologico delle comunità. Il Cristo paolino, cioè il Cristo del NT, è in prima battuta un personaggio che chiede a tutti di rinunciare al proprio discernimento in funzione del suo, minacciando con la morte eterna coloro che non si presteranno (cfr. Mt XXV): ne deriva, in seconda battuta, che la rinuncia all’ego delle ipotesi precedenti si traduca, nella pratica, in una concentrazione esclusiva delle proprie forze e risorse in favore dell’ego “comunitario” e cioè, sostanzialmente, del codice morale imposto dalla catena di comando e di quella dinamica accrescitiva nota col termine “evangelizzazione”. Dalla lettura coerente di tutta quanta (chi non la legge tutta, non è più nella dottrina) la “lettera” del NT, emerge che la reale natura della rinuncia cristiana all’ego consista nella convergenza, di quante più forze possibile, verso l’ambizioso progetto culturale avviato da Paolo: ovviamente, ciò non significa che numerosi simboli del messaggio evangelico non possano esser assunti per educare ad un’altra etica, ad un’altra concezione del mondo rispetto a quelle originali paoline; significa solo che un interprete siffatto ed onesto con se stesso debba ammettere di stare commettendo, in quel caso, un arbitrio rispetto alle intenzioni storiche dei testi.


L’evidenza emergente da un’onesta lettura dell’intero NT esprime, direi, uno scenario strumentalmente neoplatonico nel quale, a fronte di una proclamata irrilevanza della sfera temporale, si reclutano forze per una colossale kulturkampf “al contrario”, nominalmente tesa al farsi accettare dal “Cielo” e tecnicamente impegnata alla colonizzazione religiosa dell’intero bacino mediterraneo (cioè il mondo noto) dell’epoca (e d'oggi). Le radici dell’operazione concretizzatasi nei vangeli canonici risiedono nel progetto delineato dalle lettere paoline e far parlare i di loro simboli prescindendo da questo dato filologico, implica inevitabilmente il porsi fuori dalla realtà oggettiva, ma anche dalla comprensione intima della dottrina tradizionale cattolica, con tutto ciò che ne consegue: 1) se s’interpretano i vangeli prescindendo dal contesto dell’intenzionalità complessiva del NT, si stanno di fatto usando i vangeli per fini personali (quale che sia la moralità privatamente riconosciuta a questi fini personali); 2) se s’interpretano i vangeli per fini personali e non lo si fa inconsapevolmente, allora di fatto lo si sta facendo dando più valore alla propria interpretazione che alla lettera dei testi e di conseguenza, si sta smettendo di considerarli sacri; 3) se si è preferito consapevolmente anteporre le proprie letture simboliche alla comprensione letterale (chiese riformate) e/o dottrinale (chiese antiche) dei testi, dimostrando così la propria miscredenza nella sacralità della lettera degli stessi e/o della Tradizione, allora l’onestà logica esigerebbe di ammettere che anche i codici morali e del NT e della Chiesa, non vadano più da se stessi considerati in termini assoluti e sacrali, ma in termini d’oggetto d’interpretazione simbolica. Di fatto, chi interpreta un simbolo prescindendo dal contesto della sua formulazione, compie sempre un atto proiettivo del proprio ego sul simbolo stesso: in questo senso, lo ripeto per l’ennesima volta, ogni mito canonico può invece essere legittimamente interpretato solamente tramite letture che risultino compatibili non solo con la sua forma e simbologia, ma anche con il contesto più ampio del NT tutto. In tutto questo, la notizia positiva è che un cristiano esoterico, che abbia preventivamente accettato l’esigenza scientifica d’uscire con la sua ricerca dai limiti ideologici del NT e della dottrina, ha la possibilità di estendere la sua conoscenza del fenomeno cristiano ad altre fonti, ad altre dottrine, per poi produrre da esse una propria sintesi originale la quale, essendo slegata da credenze storiciste, si permetta legittimamente d’utilizzare le immagini archetipiche delle varie tradizioni cristiane non già per avvalorare tesi autoreferenziali (cioè fondate su ulteriori credenze e non su argomentazioni di tipo sperimentale e /o logico), ma per esprimere, in modo diverso che con la parola, una weltanschauung ed una metafisica che si reggano in loro stesse, a prescindere dal presunto valore normativo dei dettami divini e dei simboli religiosi da esse assunti.

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