sabato 25 febbraio 2017

Cristianesimo e simbolo. II, genesi (2/3)

Nella prima parte di questo secondo articolo della serie sui rapporti fra Cristianesimo e simbolo, ho voluto illustrare alcune curiose somiglianze tra i culti di Adone, di Zoroastro ed il Cristianesimo così come trasmesso dai Vangeli canonici della Chiesa: mi pare sia stato a sufficienza documentato come, attorno al sec. VI a.C., l’area mediorientale sia stata attraversata da un insieme di narrazioni religiose con le quali Israele è dovuto necessariamente venire a contatto, se non per altro, a seguito della cattività babilonese. In questa seconda parte, affronterò il tema delle relazioni fra le religioni misteriche del sec. VI, le influenze estremo-orientali giunte in Palestina perlomeno a seguito dell’opera di conquista di Alessandro Magno, l’Ebraismo del Tempio, il movimento rabbinico ed il Cristianesimo paolino:
 

Nella prima metà del sec. IV a.C., l’Impero Macedone giunge nella valle dell’Indo, dove “solo” un paio di secoli prima (in curiosa concomitanza temporale –definita “assiale” dagli addetti ai lavori- con la nascita delle iniziazioni misteriche mediorientali), dal “ceppo” originario della religione vedica, si era distaccato il movimento buddista, seguendo un “copione” di allontanamento dalla tradizione, in senso spiritualizzante riguardo la pratica cultuale, individualizzante riguardo la pratica etica, nonché razionalizzante (con sviluppo del principio d’astrazione) riguardo la dottrina, che già vedemmo prodursi ad opera di Zoroastro verso il Mitraismo sacerdotale e che di nuovo vedremo nell’opera riformatrice paolina rispetto al culto del Tempio. Nel sec. III a.C., in piena ellenizzazione (costituzione di una comune civiltà fatta di molti popoli e presa fra il crescente potere di Roma ad Occidente e l’impresa di Alessandro ad Oriente)  del Mediterraneo, sulle coste fra la Palestina e l’Egitto si vanno a redigere gli ultimi libri dell’Antico Testamento, i cosiddetti deuterocanonici, scritti in greco ed integranti concezioni religiose un tempo assenti nel culto ebraico, come ad esempio il messianismo e l’immortalità dell’anima; un secolo più tardi, emerge da Israele il movimento esseno, di cui, prima delle scoperte di Qumran, avevamo nozioni praticamente solo grazie allo storico ebreo naturalizzato romano Giuseppe Flavio (con contributi di Epifanio e Filone d'Alessandria).

 

Gli esseni sono organizzati in comunità monastiche: «I resoconti di Giuseppe e Filone mostrano che gli Esseni (Filone: Essaioi) conducevano una vita strettamente celibe, ma comunitaria − spesso paragonata dagli studiosi alla vita monastica buddista e in seguito cristiana − anche se Giuseppe parla di un altro "rango di Esseni" che si sposavano (Guerra 2.160-161). Secondo Giuseppe, avevano usanze e osservanze come la proprietà collettiva (Guerra 2.122; Ant. 18.20), eleggevano un capo che attendesse agli interessi di tutti e i cui ordini venivano obbediti (Guerra 2.123, 134), era loro vietato prestare giuramento (Guerra 2.135) e sacrificare animali (Filone, §75), controllavano la loro collera e fungevano da canali di pace (Guerra 2.135), portavano armi solo per protezione contro i rapinatori (Guerra 2.125), e non avevano schiavi, ma si servivano a vicenda (Ant. 18.21) e, come conseguenza della proprietà comune, non erano dediti ai commerci (Guerra 2.127). Sia Giuseppe sia Filone hanno lunghi resoconti dei loro incontri comunitari, pranzi e celebrazioni religiose. Da quanto si è dedotto, il cibo degli Esseni non poteva essere alterato (con la cottura ad esempio) [...] Dopo un totale di tre anni di prova (Guerra 2.137-138), i membri appena unitisi prestavano un giuramento che comprendeva l'impegno a praticare la pietà verso la divinità e l'aderenza a principi morali verso l'umanità, per mantenere uno stile di vita puro, di astenersi da attività criminose e immorali, di trasmettere intatte le loro leggi e di preservare il libro degli Esseni e il nome degli Angeli (Guerra 2.139-142). La loro teologia includeva il credo nell'immortalità dell'anima e il fatto che avrebbero ricevuto indietro le loro anime dopo la morte (Guerra 2.153-158, Ant. 18.18)».


Dalle fonti storiche ed archeologiche, l'Essenismo emerge insomma come una forma religiosa sincretica che associa il rifiuto dei sacrifici animali, tipici dello Zoroastrismo così come anche il dualismo luce/tenebre; la società cenobitica e la tensione ascetica di matrice estremo-orientale; la credenza nell'immortalità dell'anima e la velleità elitarista tipiche delle religioni misteriche mediorientali; l'attesa messianica dell'ultimo ebraismo, anche nella forma di una resistenza armata all'invasore; la fedeltà alle Sacre Scritture ed alle norme legali e specialmente di purità, tipica dell'Ebraismo tradizionale. Se da un certo punto di vista l'estremo rigore normativo della comunità essena la distanzia dal Cristianesimo paolino (ma già la separa molto meno dal Cristianesimo petrino o Giudeo-cristianesimo), numerosi punti di contatto associano le due correnti emerse, a loro volta a circa due secoli di distanza l'una dall'altra, dall'Ebraismo: la nozione di Messia riferita al capo-mensa; la celebrazione ritualizzata d'una cena simile alla Pasqua ebraica, ma ancora più al rito eucaristico grazie alla presenza di pane e vino; il tema della luce; il tema del deserto; il tema dell'elezione; il battesimo iniziatico.


Prima di concludere con un breve sommario del percorso fino a qui battuto, intendo riservare ancora un po’ di spazio al tema delle correnti rabbiniche dell’epoca di Gesù, così come le conosciamo attraverso testi e commentarî ebraici quali il Talmud. Come gli stessi Vangeli canonici raccontano, la società ebraica dell' "anno 0" è composta, sul piano religioso, da numerose istanze, le quali dipendono ora dal patrimonio tradizionale, ora dalle contaminazioni ellenistiche ed ora da tensioni più strettamente politiche, in un certo qual modo "defluite" verso le aspettative di parte del popolo nei riguardi della divinità etnica nazionale, YHWH: se i custodi del Tempio, i sadducei, rimangono legati ad un'assiduità del popolo nell’Alleanza, per cui predicano l’ossequio collettivo ai sacrifici e pratiche rituali, affinché il dio corrisponda su questa terra alla fedeltà d’Israele, le comunità rabbiniche, nate come evoluzione della figura dello scriba nel contesto delle sinagoghe lontane dalla capitale, estendono la propria riflessione sulle Scritture a contesti e visioni religiose tutt’altro che rigoriste; mentre a Gerusalemme si macellano animali per i peccati d'Israele, le sinagoghe diventano il “motore” d'una speculazione razionalizzante sempre più ardita sulla Legge, nonché il “cuore” di scuole sempre più definite le une dalle altre (e in certi casi sempre più elitarie), dove il “respiro del mondo” e la tradizione s’incontrano e dialogano. Di particolare importanza risultano le dispute teologiche tra la scuola di Hillel quella di Shammai, verificatesi davvero a ridosso dell'evento cristiano. Rabbi Hillel mantiene in genere posizioni molto più concilianti con l'ellenismo, rispetto a Shammai: eliminazione del numero chiuso dai corsi di studio per la Torah, liberalizzazione del divorzio, apertura verso i convertiti, permesso accordato ai matrimoni misti e permesso di mentire a fin di bene, come nel famoso esempio del riconoscere falsamente la bellezza della propria brutta moglie; la scuola di Hillel è spesso affiancata al Cristianesimo (ad essa posteriore), a causa dell'affermazione del suo fondatore:  «ciò che non è buono per te non lo fare al tuo prossimo. Il resto è commento, vai e studia la Torah». Giunti a questo punto, direi che le corsive (ma precise e documentate) argomentazioni esposte permettano già, a grandi linee, a tutti di comprendere come sin dal principio ci sia davvero ben poco di originale nella dottrina cristiana giunta a noi, attraverso Paolo di Tarso, nell'attuale Chiesa Cattolica: talmente poco da non dovere, io reputo, ritenere indispensabile la storicità di ciò che i cristiani definiscono Kerygma, ovvero la "passione, morte, risurrezione ed ascesa al cielo" di Cristo, il Figlio di Dio che si è fatto uomo, il Salvatore del Mondo e dell'Umanità tutta intera.

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