lunedì 13 marzo 2017

Cristianesimo e simbolo. V kerygma (3/3)

Nelle prime (1; 2a e 2b) parti di questo articolo sul senso simbolico degli elementi fondamentali della fede cristiana (Peccato Originale e Sacrificio Redentore del Cristo), ho mostrato come non sia in alcun modo ragionevole intendere letteralmente la caduta dei progenitori: essendo Gn III copiato da racconti precedenti, non si può pretendere che il primo (la copia) sia storico, mentre i secondi (gli originali), siano semplici miti; o è mitico anche l’episodio biblico oppure si è costretti a ritenere per autentiche le narrazioni precedenti e non quelle ebraiche; se si accoglie la storicità degli antichi racconti zoroastriani, si finisce col convertirsi al Mazdeismo, mentre se si ammette la valenza soltanto mitica di entrambe le versioni, bisogna ammettere che nella Storia vera, il Peccato Originale e la cacciata dal paradiso, sono vicende mai accadute. Tralasciando l’ipotesi di un’eventuale conversione allo Zoroastrismo (o Mazdeismo), la trattazione della quale porterebbe questa serie fuori tema, la logica imporrebbe ad ogni cristiano, a questo punto, di ammettere un paio di cose dai risvolti catastrofici per la sua fede: se il Peccato Originale è un fatto mitico come l’episodio che lo propone, allora sparisce il motivo della presunta redenzione nella Storia operata dal Cristo (se Cristo è morto e risorto per redimerci dal Peccato Originale, che però non è mai avvenuto, sparisce il movente della missione di Gesù e con esso è demolito il Kerygma). Se l’episodio di Gn III fosse storico, avremmo ch’esso racconterebbe di un dio (Ahura Mazdā, comunque: mica YHWH!) padrone assetato di servi e quindi contraddittorio con l’idea d'una Sua missione per l’emancipazione umana;  se lo stesso episodio viene accolto come mitico, allora vanno accolti come mitici anche tutti i personaggi in esso presentati, Dio compreso. La questione diventa drammatica, per chi intendesse ancora difendere la “lettera” e la storicità degli “eventi” dottrinali: se l’episodio è storico, il cristiano deve smettere d’essere cristiano e diventare zoroastriano, nonché smettere di credere in un dio buono e cominciar a considerarsi uno schiavo; se l’episodio è mitico e nella Storia non è mai accaduto, allora la presunta redenzione del Cristo si ritrova senza movente (essendo sparito il Peccato Originale) e senza mandante (essendo Dio una figura metaforica). Ammesso che Cristo sia davvero risorto nella Storia, il cristiano non sa più né perché, né per chi, né per volontà di chi lo abbia fatto.


Si potrebbe addurre a favore della storicità dell’evento, avendo comunque oramai abbandonato la teoria cristiana a riguardo, che Gesù faccia parte di una serie di rarissimi personaggi (Osiride, Dioniso, ecc.) che, nella Storia, sono stati capaci di “rompere il velo” tra il piano temporale ed il piano dell’eterno, mostrando così come la realtà non si esaurisca nella sfera del “visibile”: in questo senso, si potrebbe dire che la morte e risurrezione storiche di Gesù potrebbero fare a meno del movente e del mandante indicati dalla dottrina religiosa paolina ed anche il valore salvifico della sua missione potrebbe essere riletto non più nella forma di un riscatto compiuto, ma in quello di un aspetto del reale mostrato. L’umanità, resa consapevole della non finitudine della sua vita, potrebbe trovare di fatto salvifica un’informazione che risultasse motivo di speranza, d’abbandono della paura e di libertà nel perseguire se stessa fuori da ogni vincolo di minaccia eterna: questo a prescindere dal fatto che la presunta risurrezione avrebbe prodotto soltanto un nuovo stato di coscienza e non una nuova creazione, così come invece pretende la dottrina cattolica. Ammetto che, in assenza di una riflessione metafisica più approfondita che possa confutare la suddetta ipotesi, le idee che giorno dopo giorno oramai si susseguono nel campo della Fisica, come la teoria dell’Universo non locale di Bohm, sorta a seguito delle evidenze sperimentali nell’ambito quantistico, permettono secondo me a tutt’oggi di continuare a sostenerla senza essere pazzi. Come già dissi, ritengo che una storicità della risurrezione permetterebbe di spiegare molto più facilmente come Paolo di Tarso possa essere riuscito a spacciarne l’idea, in un’epoca in cui testimoni oculari del rabbino Gesù erano ancora vivi: se personalmente opto per un’interpretazione esclusivamente simbolica della risurrezione, è a causa del fatto che la Storia delle Religioni, nonché la storia dell’evoluzione del pensiero escatologico ebraico, mi portano a considerare molto, ma molto più probabile, la tesi per cui anch’essa appartenga a quel milieu di nozioni religiose antiche che circolava diffusamente e da decenni nel clima ellenizzato in cui il Cristianesimo si trovò ad emergere. 


L’idea buddista di bodhisattva e l’idea induista di avatar, giunte in Palestina grazie all’opera di Alessandro Magno; l’idea pitagorica della metempsicosi, documentata presso certi gruppi proto-cristiani; l’attesa messianica del Mazdeismo, fatta propria dalla corrente iniziatica ebraica degli esseni; i culti solari e stagionali egizi e mesopotamici; i culti misterici della Grecia e della Tracia (come il mito della discesa agl’inferi di Orfeo); la letteratura apocrifa ebraica come il Libro di Enoch; la letteratura proto-gnostica e deuterocanonica precedente all’era cristiana; il bisogno personale che Paolo aveva della risurrezione, per giustificare la legittimità del proprio operato; la lettura assolutamente irragionevole (in quanto né il movente, né il mandante dichiarati possono darsi per plausibili) che tutti i documenti cristiani canonici che ne parlano, ne hanno sempre dato: tutti questi elementi, assieme alla quantità enorme di elementi tratti da miti precedenti di cui il racconto del NT sulla risurrezione di Gesù è stato indubbiamente farcito, mi costringono a ritenere che la risurrezione sia in tutto un mito, preposto a trasformare l’uomo storico Gesù di Nazareth nel Cristo paolino, personaggio del tutto funzionale a conquistare il panorama religioso dell’epoca, grazie ad un’ardita opera di sincretismo. Dai presupposti di cui sopra, procedo con una disamina del senso simbolico dell’evento redentore cristiano, così come raccontato dai testi canonici del NT e per farlo dovrò ricondurmi ai concetti del ciclo solare ariano, da me trattati in una precedente serie (artt. 1, 2, 3, 4) dedicata alla simbologia dell’altare cattolico: non potendomi qui soffermare nuovamente a descrivere, in poche righe, ciò che già richiese pagine e pagine d’illustrazione, mi limiterò a ricordare che la cultura indo-europea accomuna molte civiltà anche distanti fra loro, grazie ad immagini archetipiche condivise. 


Nel ciclo ariano, il mondo è diviso in quattro quadranti, corrispondenti ai quattro punti cardinali; il cielo è diviso in quattro quadranti, di cui tre occupati dalle posizioni luminose del sole (alba, mezzogiorno, tramonto) ed uno dalla Montagna Sacra (il nord, cioè la mezzanotte), la quale corrisponde alla Terra dei Padri. Il cielo è associato alla luce, alla capacità penetrativa della luce e della pioggia, quindi alla mascolinità ed al numero 3; la terra è associata al buio, alla capacità ricettiva verso i semi, la luce e la pioggia, quindi alla femminilità ed al numero 4. Il sole è l’eroe che nasce ad est, trionfa a mezzogiorno, muore ad ovest e “passa il testimone” nel seno dei padri, a nord. La luna riflette il sole, ed assieme alle maree ch’essa domina ed alla terra che riceve dal cielo, è espressione della femminilità (nelle culture germaniche, il genere dei due astri s’inverte) e spesso viene anch’essa tripartita, come gli Déi luminosi del giorno, secondo gli aspetti di luna crescente (la vergine), piena (la madre) e calante (la megera). Già nel mito di Osiride (l'abbondanza) si riscontra come Seth (l'inverno), fratello del Dio, uccida quest’ultimo  per invidia e quindi lo smembri, gettandone le parti nel Nilo, fiume che dona la vita all’intero Egitto: nei vangeli sinottici, Gesù, dopo essersi volontariamente (differenza dovuta al fatto che il tema conduttore d’ogni monoteismo è l’obbedienza a Colui che si rivela) “smembrato” nell’ultima cena in forma di pane e vino, perché il suo corpo ed il suo sangue donassero la vita all’intera umanità, viene ucciso per invidia dall’élite ebraica del suo tempo. Come nella iconografia egizia il corpo di Osiride è raccolto dalla sorella e sposa Iside, così in quella cristiana delle “pietà”, il corpo del Cristo è raccolto dalla madre, accompagnata da Maddalena e Cleofa (le tre “marie”); come Nefti ed Iside fanno tornare in vita Osiride con le loro arti magiche, così le donne evangeliche (guidate dalla Maddalena) “scoprono” la risurrezione di Cristo mentre andavano ad ungerne il corpo (in accordo con l’uso egizio d’imbalsamazione); come Osiride, pure tornato in vita, smette di abitare la terra ma diviene signore eterno del regno dei morti, così Cristo, asceso al cielo, si appresta come Signore a giudicare i vivi e i morti e il suo regno non avrà mai fine. Le donne, triplici come la luna, rappresentano la terra, ch’è l’elemento da cui l’eroe solare nasce (la vergine Maria), presso cui l’eroe trionfa (la “sposa mistica” Maria, a cui si contrappone l’alter-ego materiale Marta), verso cui l’eroe solare giunge (la raccolta del corpo da parte dell’anziana madre) e da cui l’eroe solare di nuovo risorge: a Pentecoste, Maria passa il testimone della fecondità alla Chiesa, nuova “vergine” (in quanto composta di soli uomini) che pure, riempita di Spirito Santo, genera alla fede.

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